GAZZETTA DI MANTOVA
pagina 4 Giovedì 7 Gennaio 1965

NOTE TRISTI


E' SPIRATO IERI SERA
IL PITTORE MONFARDINI


E'spirato ieri sera, all'Ospedale civile della nostra città, il pittore Alfonso Monfardini. Aveva 77 anni, essendo nato l'11 Giugno 1887.
La sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto nell'ambiente artistico mantovano, del quale egli era uno dei più apprezzati ed appassionati rappresentanti. Certamente la sua figura si staglia con un particolare ricordo nella storia pittorica mantovana degli ultimi cinquant'anni.

Solitario e modesto, parco di parole quanto profondamente convinto della importanza di quella che egli riteneva una missione e consapevole del proprio linguaggio artistico, egli era legato allo spirito artistico ottocentesco, pur non disprezzando le più moderne forme di espressione.
La sua molteplice produzione ha come temi dominanti il paesaggio delle nostre campagne, le visioni gardesane, i ritratti le nature morte. Monfardini iniziò la propria strada alla locale Scuola d'Arte, ove ben presto si distinse a tal punto da meritare l'appoggio degli Enti cittadini e da ottenere poi, dall' Istituto”Franchetti”, l'iscrizione a un corso d'arte a Parigi per la durata di un anno; corso al quale però, date le condizioni precarie della famiglia, egli dovette rinunciare.

Negli anni 1909-10-11 si iscrisse quindi, come scultore, all'Accademia di Belle Arti di Verona, e qui finì i corsi meritando due primi premi: medaglia d'oro e un diploma. Risale a quel tempo l'inizio dei suoi successi. Come pittore parteciperà in seguito a varie importanti esposizioni artistiche in Italia ed all'estero. Da ricordare le mostre al Ducale nel 1915, al Palazzo Valenti nel 1920, alla Camera di Commercio per la Mostra Nazionale, e, ancora, a Brescia, Cremona, Milano.
Nel 1950 ---- meritato riconoscimento di un avita consacrata all'arte ---- sarà accolto alla biennale di Venezia.
Instancabile lavoratore, Alfonso Monfardini ha continuato a dipingere sino a pochi giorni fa. Poi, improvvisamente, è stato colto dalla malattia che ha posto termine alla sua esistenza.

In quest'ora tristissima, porgiamo ai famigliari le nostre più sentite condoglianze, certi di interpretare anche i sentimenti della cittadinanza.

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GAZZETTA DI MANTOVA
pagina 6 Domenica 21 Marzo 1965

NOBILE FIGURA, AUTENTICO BOHEMIEN


RICORDO DI MONFARDINI
valoroso artista mantovano


Alfonso Monfardini, può essere oggi considerato un pittore degno di stare fra l'eletta schiera degli artisti mantovani, che esercitarono un benefico influsso nella storia dell'arte contemporanea.
Nato a Mantova nel 1887, di condizione tutt'altro che agiata, manifestò fin dall'età giovanile una spiccata inclinazione per l'arte figurativa in genere.
Nel 1908 vinse la borsa di studio Franchetti, che gli permise di frequentare l'accademia "Cignaroli" di Verona. ( Fu qui che lo incontrai per la prima volta, assieme a Mario Lomini e a Ruggero Giorgi).
Dopo il biennio obbligatorio per tutti gli allievi, Monfardini seguì il corso di scultura, licenziandosi da quell'istituto a pieni voti: scultore. Passò poi a Venezia a completare gli studi e ritornò a Mantova dove si stabilì definitivamente.
Da principio la lotta fu aspra, fra la miseria di una vita di stenti nel povero studio di piazza Mantegna (la finestra in alto a sinistra di chi guarda la Basilica).
Non era ancora conosciuto come scultore, perciò non gli fu affidato nessun lavoro importante: solo qualche sporadica commissione, procurata dal dott. Nullo Madella, che da buon mecenate lo aiutava.
Ciò nonostante l'Artista trasse dalle sue angustie nuove energie, quasi a ribellarsi all'avverso destino, lottando ancora tenacemente, con la sua ferrea volontà. Modellava busti-ritratti, statuette decorative, lapidi, fregi ornamentali stile "Liberty", stucchi ecc.; lavori di poco conto e poco rendimento economico, ma pur di sbarcare il lunario, tutto era buono. Come diversivo, si dedicava anche alla pittura del paesaggio, ottenendo risultati soddisfacenti.
Ritrovo dell'élite mantovana, all'ora dell'aperitivo, era in quel tempo il Bar Domenico Madella, in via Magistrato, ora via Roma. E fu qui che a poco a poco si formò una cerchia di simpatizzanti del Monfardini che oltre ad incoraggiarlo con gli acquisti pensarono di organizzare una Mostra al "Circolo Cittadino", mostra che ebbe successo insperato. Appena ebbe i mezzi sufficienti, l'Artista cominciò quindi a spostarsi sul Garda chè in quei luoghi caratteristici del lago Benacese che maggiormente lo ispiravano, e là produsse opere di sempre maggior valore.
La su produzione subì una stasi durante il periodo della prima guerra mondiale (1915-18) alla quale dapprima partecipò come soldato nel Genio-zappatori. Poi fece domanda di passare al battaglione aviatori a Torino per un corso di pilotaggio, e fu appunto a Torino che lo incontrai per la seconda volta, mentre rientrava da Pau (Francia) esonerato dal corso per un atterraggio fuori campo: l'apparecchio venne scassato ma lui rimase incolume.
Tornato dalla guerra, povero in canna, ma sempre simpaticamente scapestrato e allegroMonfardini indugiò in attesa degli eventi. Preparò qualche bozzetto per monumenti ai Caduti, ma tosto riprese i pennelli. Ad ogni modo, vincendo concorsi banditi dai comitati per le onoranze dei Caduti in guerra, trovò modo di dar prova delle sue doti scultoree, e di guadagnare. Somenzari, Resmi, Cavicchini, Polpatelli, erano tutti suoi allievi pittori, ma in quelle circostanze, nello studio di via Chiassi, tutti lavoravano per preparare il necessario a modellare l'argilla: chi piegava il ferro per le armature, chi batteva l'argilla, chi segnava le assi, scioglieva il gesso. Il locale si trasformava in un cantiere animato, fra un groviglio di ferri e di assi, che aumentavano la confusione e il disordine già esistenti. Spesso, però, alla fine della giornata si combinavano allegre baldorie, tanto povere di mezzi, quanto ricche di bonaria allegria.
In tale atmosfera si svolse un felice periodo che in seguito permise al Monfardini di spiccare il volo verso l'ideale artistico preferito: la pittura.
Monfardini, col suo carattere emotivo, si trasfigurava davanti alle scene della natura, diventava serio e meditativo, non cercava il metafisico o l'iperbolico in arte, come non si fermava alla semplice copia del vero. Egli aveva compreso che l'arte non è che il vero visto attraverso il proprio sentimento e che il paesaggio in ispecie, per tramutarsi in vera arte, deve rivelare lo stato d'animo dell'artista che lo ha sentito e che si è sforzato di mettere nella sua opera un palpito intenso di vita e di commozione. Ed è appunto attraverso tali vibrazioni, palpitanti e calde di colore, che Monfardini ha espresso la sua opera.
Egli non si curava dell'esteriorità, non aveva che un solo fine: appartenere a se stesso e vivere per l'arte. La pittura era il suo respiro, il suo godimento; dinanzi alla realtà rimaneva estasiato a contemplarla, a studiarla per poi riprodurla secondo la sua interpretazione personale.
Innamorato della sua Mantova fu attratto costantemente dal suggestivo paesaggio virgiliano. I canneti, il lago, i salici, agli Angeli alle Grazie, a Formigosa, i pioppi, gli orizzonti velati di foschia, le colline degradanti e assolate di Volta e Valeggio, i campi biondi di messi nei meriggi afosi erano i suoi temi preferiti.
N'è si possono dimenticare le sue primavere fiorite, i cieli velati di nubi di perla e certe impressioni di Torri, S. Vigilio, Bardolino che pare si cullino fra il verde degli olivi. Inoltre i porti di Cassone, Castelletto, Porto, Tempesta, animati di barche di pescatori, in un clima di poesia immediata.
Certe sue visioni di crepuscolo sul Mincio, quando la terra e l'acqua impallidiscono dietro un velo di nebbia e tal'altra, su un cielo combusto, le nubi si incrociano avvolte in un manto di porpora e d'oro e la sera scende misteriosa, sono scenari d'incanto che ebbero in lui il loro poeta, il loro interprete: egli dipingeva il silenzio, la solitudine, la pace.
Oltre al paesaggio, faceva ritratti e nature morte (una delle quali venne premiata a Verona) e usava pastelli, tempera, acquerelli, trattando con maestria ogni tecnica da conoscitore profondo.
Nel corso degli anni partecipò a numerose esposizioni nazionali e internazionali in Italia e all'estero: Venezia, Roma , Parigi, Milano, Verona e Suzzara, ottenendo ovunque ottimi consensi.
In questi ultimi tempi il povero Monfardini dava segni di stanchezza: la malattia, di cui soffriva, gli impediva di lavorare a suo agio, e, per distrarsi, com'era sua consuetudine, quasi tutti i pomeriggi, solo, in bicicletta, andava a Bancole dal suo amico maestro Rodighiero, dopo essere passato da Otello Marconi e da Aldo Guadagnin.
Morì il giorno dell'Epifania, il 6 Gennaio scorso, assistito dall'amico fraterno dott. Piero Ceruti.
Con lui è scomparsa una figura caratteristica, un artista geniale, un lavoratore instancabile, sincero, una guida, un maestro.
oggi le sue opere sono altamente apprezzate in ogni ambiente e la sua scomparsa è rimpianta ovunque, perchè l'Artista, per la sua popolarità, era benvoluto e stimato da tutti. Temperamento vivace, brioso e a volte taciturno egli nella sua giovanile esistenza, alquanto disordinata, nella mescolanza di bizzarria e turbolenza, nonchè di affettuosa bonarietà (che costituivano il fondo del suo carattere) ci appare uno dei più genuini rappresentanti di quella scapigliatura artistica che, nella seconda metà del secolo scorso, denominarono Bohémienne: Alfonso Monfardini era un Bohémien autentico.
Incontrandolo per strada, anche quelli che non lo conoscevano, notavano in lui un tipo fuori del comune: alto, smilzo, con cappello a larga falda, viso lungo e intelligente, cravatta nera a nodo, cadente, piuttosto trascurato.
La sua vita fu tutt'altro che facile, anzi fu affaticata fino all'ultimo. Vissuto appartato, sempre dimostrando assoluta indipendenza sia ideologica che artistica, Monfardini fu uno spirito irrequieto e sempre insoddisfatto dei risultati raggiunti. Nonostante questo, nella vita di tutti i giorni animava quanti lo incontravano e parlavano con lui; nei giovanissimi, poi, col suo entusiasmo, faceva nascere quel fascino, che non si è spento nei ricordi, ma è rimasto come eloquente esempio d'indimenticabile forza d'espressione.
Dopo la sua scomparsa quei pochi veri amici, che lo attorniavano, si sono chiusi, con affetto fraterno, in un profondo rimpianto.
Alcuni di essi tuttavia intendono ora trarre dall'ombra la sua opera, per collocarlanel posto e nella luce che le spetta.
Ed è stata così lanciata l'idea d'una mostra retrospettiva che ricordi e meritatamente sottolinei le tappe di un Artista che merita di essere inserito tra quelli che hanno fatto la storia dell'arte mantovana. ARTICOLO DI ERNESTO ZINETTI.


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