Violini e liutai mantovani

di Enzo Boccola, Dicembre 1949.


Se le onde sonore delle note (date dagli strumenti creati dagli artefici sommi col cervello, colla tenacia, e col cuore) perdurassero ancora nell'etere e potessero essere captate da noi, anche se i secoli sono passati rotando inesorabilmente, potremmo allora udir vibrare gli spiriti del melodioso Corelli, dell'armonioso Tartini, del nobile Pugnani, del soavissimo Rolla, del patetico Viotti, del sublime Rovelli, dell'infuocato Paganini, del soave Lulli, di Franci, ecc; e sublimarci alla loro arte, avvicinandoci alla divina poesia e grandezza dell'infinito. Ma se tanti virtuosi hanno deliziato le folle nei teatri e alle corti dei Re, un merito grande va certo attribuito a coloro che hanno saputo dare lo strumento da cui trarre quei suoni. La storia ha annotato i nomi di ben circa 500 liutai Italiani. Essi, nelle loro piccole e spesso oscure botteghe, nelle loro modeste case, tra vernici gelosamente tenute segrete, tra legni conservati come pregiati incunaboli, tra stampi, tra ricette tramandate da generazione in generazione, fra strani strumenti, tra odor di colle o di resine, hanno sparso per il mondo la loro produzione, risultato prestigioso di lunghi studi, di sacrifici duri ed a volte di amarissime delusioni. Ma l'Arte è femmina e dea. Si è data e di dà a chi ne è degno per innalzarlo poi sino al suo seggio scintillante, immortalandolo. E figlia dell'Arte è la Musica. Essa è vita, è la vita stessa che spera, che gioisce, che piange, che tace..., e giacché i nostri cieli sono smisurati smeraldi, la nostra terra è giardino fiorito, il sole è più aureo e più caldo, è giusto che i nostri cuori cantino, è logico, naturalissimo, che qui, in questa terra nostra benedetta, nascesse dalle mani fatate di Gasparo da Salò il primo violino, re degli strumenti, re, poiché è strumento cantore per eccellenza, possedendo una sonorità calda e vibrante, poiché l'anima di chi suona si trasfonde nella cassa armonica e canta e commenta le gioie e le pene della vita. I suoi mezzi d'espressione sono infatti di una così grande ricchezza che permettono di passare alternativamente al grave al tenero, dall'allegro al severo, facendo piangere o facendo ridere. Se Gasparo, se Giovanni Paolo Maggini di Brescia, se gli Amati, i Gagliano, i Guarnieri, come scrive Laurent Grillet, nel suo volume “Les ancetres du violon”, sono stati inventori e grandi artefici, spetta ad Antonio Stradivari, il Messia, il più eletto, il più completo liutaio, che impiegò più di trent'anni per arrivare alla formula definitiva, il grande merito di aver perfezionato il violino. Fu Lui a donargli una forma superba regolare e matematicamente misurata, Fu Lui ad ampliargli il suono, a renderlo dolce e carezzevole, a perfezionargli la vernice. Egli, nato nel 1644, chiuse gli occhi mortali il 18 Dicembre 1737, giorno e mese che coincidono con la pubblicazione di queste povere e brevi note che pur vorrebbero esaltarne la memoria e rievocarne la gloria. La liuteria italiana aveva impiegato due secoli per arrivare al suo apogeo; dopo il trapasso di Stradivari avremo stasi o degenerazione in questa nobile arte. Se Brescia o Cremona possono vantare di aver dato i natali ai maghi del violino, noi mantovani, per debito di riconoscenza, e perché è necessario tener vive nel popolo le nostre passate grandezze onde attingere ad esse forza ed emulazione, dobbiamo annoverare i nostri liutai, cresciuti all'ombra delle nostre torri, che fecero parlare di loro e che portarono il nome di Mantua (racchiuso nei sonori scrigni preziosi) oltre le Alpi; e non il nome solo, ma quasi la voce della loro cara città, della loro patria che non li vuole dimenticare e non li ha dimenticati. E' un appello ideale al quale rispondono arcate sublimi di violini: Bonoris Cesare (1568); Balestrieri Tomaso (1775) allievo di Stradivari, i cui violini sono esemplari di rara bellezza; Dardelli (1500); Racceris (1670); Stefanini Carlo (1781); Zanotti Antonio (1731); Zanti Alessandro (1755); Guarnieri Pietro (1670); Camilli Otello (1720); Dall'Aglio Giuseppe (1840), nati a Mantova o figli elettivi di questa città. Forse nella compilazione affrettata di questi appunti avrò omesso qualche nome: essi comunque sono vivi nel tempo e nello spazio. Ho voluto ricordare per ultimo l'illustre concittadino liutaio, perché a noi più vicino e perché posso maggiormente dilungarmi su lui: Stefano Scarampella. Egli nacque il 17 Marzo 1843 e morì il 23 Gennaio 1925; fu allievo del fratello Giuseppe, scomparso purtroppo ancora giovane. Stefano non solo raggiunse la perfezione del fratello, ma diede ai suoi strumenti un'impronta caratteristica tutta personale. Nella sua lunga operosa vita costruì autentici capolavori e la loro vernice stupenda è come degna lussuosa cornice incastonante grandi quadri. Umile per natura, era un appassionato per la caccia e per la pesca, unici suoi svaghi preferiti. Negli ultimi anni della sua vita, colpito da sciatica, non usciva più dalla sua casa sita in via Accademia, ma lavorava ugualmente, e seduto al suo seggiolone, come su di un trono, aveva l'aspetto di un essere diverso dal normale, di un mago quasi che stia manipolando ordigni per scongiuri o per riti stranissimi. Aveva una folta e bianca capigliatura, era di carattere originalissimo, possedeva un cuore d'oro. Era amico di innumerevoli uccelli chiusi in piccole gabbie e di un imprecisato numero di gatti che lo circuivano con le loro fusa. Egli passava le sue ore di riposo con l'immancabile amica pipa fra le labbra e a sera riceveva i suoi pochi e fidi amici per memorabili partite a scopa. Nei suoi ultimi dieci anni Stefano o Scarampella si fece un allievo (che amava come un figlio ed al quale lasciò una sacra, spirituale eredità), Gadda Gaetano, nato il 13 Aprile 1900. Questo artigiano, dall'aspetto mite del fanciullone, lavora non molto lontano dalla torre della Gabbia, nella via medesima dove il maestro l'avviò nel difficile cammino, in una stanzetta che è laboratorio e cucina. Fra barattoli, sgorbie, martelli, scalpelli, squadre, disegni, cartoni, stampi, legni, ci mostra le sue opere aprendoci un armadio patinato in nero, ed ai nostri occhi appaiono superbi violini e violoncelli verniciati in tinta rossiccia trasparentissima, tanto da non occultare la decorativa venatura dei legni messi in uso. “Molti miei strumenti- dice con una certa commozione- sono lontani, nell'America del Nord, in Olanda, in Spagna, in Francia, in Svizzera, ; Ce ne mostra uno che lui ha potuto rintracciare, riavere, un suo strumento che per anni ed anni si era allontanato dal padre per cantare non sa dove, ma non a lui vicino, per far fremere, per far gioire, per commuovere altri, e ci dice quasi sottovoce: “Porta il nome di Scarampella, ma è opera mia.....vogliono così.....tanti compratori....., e tace chinando il capo; egli che forse, se non ha superato, ha uguagliato il Maestro! Stringe la sua creatura con calore, con un gesto che ha del religioso, e guarda di sfuggita il figlio, l'unico rimastogli, che seguirà la sua strada, e la sua amata consorte che lo affianca, che è la sua forza, il suo sprone. Mantova, la nostra amata città, allunga la sua catena di nomi che le fanno onore, di degni suoi figli.


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